Tutte
le tradizioni iniziatiche sono concordi nel descrivere lo stato
originario dell’umanità come infinitamente più prospero e felice di
quello presente; tutte sono concordi nel parlare di un evento rovinoso,
una Caduta, che, ad un certo punto, segnò una brusca rottura
dell’equilibrio e fu all’origine della storia; tutte sono concordi circa
il fatto che, da allora, l’umanità non sta progredendo affatto, ma,
semmai, sta regredendo.
Le
religioni recano un ricordo di questa sapienza antichissima nei miti
delle origini.
Ora,
la religione della modernità, ovvero la Scienza razionalista,
strumentale e calcolante, che - a giudizio dei suoi cantori - ci avrebbe
assicurato il dominio assoluto sulla natura, predica esattamente il
contrario. All’inizio vi era una creatura scimmiesca, selvaggia,
incapace di pensare, di parlare, di operare in modo consapevole; poi,
lentamente, essa sarebbe evoluta verso l’uomo come lo conosciamo oggi:
lottando contro la natura e contro i propri simili, non riconoscendo
nulla di superiore a sé, con lo sguardo rivolto verso sempre nuove mete,
ognora più ambiziose e avveniristiche.
È chiaro che una delle due concezioni deve ritenersi completamente falsa, e giusta quell’altra: «tertium
non datur». Chi si inganna, dunque: la Tradizione, antica di millenni, o
la nuova religione scientista, vecchia di pochi secoli?
La differenza tra le due concezioni non riguarda soltanto i contenuti del sapere, ma anche le sue origini.
Per
la Tradizione, il sapere originario non è di origine umana; la
Tradizione stessa, in quanto tale, non è di origine umana. Gli uomini la
conservano e la custodiscono, allo scopo di tramandarla di generazione
in generazione: ma non rivolgendosi a tutti gli orecchi, bensì solamente
a quelli capaci di accoglierla (non diciamo di comprenderla, perché
l’uomo non può comprendere sino in fondo un sapere che gli è di tanto
superiore).
E
si tratta di una trasmissione silenziosa, che non si serve della parola
scritta o del libro stampato, perché la parola scritta si rivolge
indifferentemente a qualsiasi lettore, mentre vi sono molti potenziali
lettori i quali, non essendo preparati ad accogliere la Tradizione, è
bene che ne rimangano all’oscuro: l’uso che farebbero di quel poco che
riuscirebbero a capire, stravolgendone il senso, sarebbe sicuramente
dannoso, per loro stessi e per altri.
Per
la scienza moderna, materialista, quantitativa e meccanicista, il
sapere è interamente frutto della ragione umana; nessuno lo ha donato
all’uomo, egli se lo è conquistato con le proprie forze; e a tutti può
essere trasmesso, perché non consiste che di formule da applicare in
maniera impersonale, indipendentemente dall’uso che se ne fa e dalle
intenzioni di chi le possiede.
Poiché
viviamo immersi nel paradigma falsamente democratico basato sull’idea
che tutti gli esseri umani sono uguali quanto a capacità, attitudini e
senso morale, la scienza moderna appare tanto più veritiera, quanto più
solletica la nostra vanità e il nostro orgoglio.
L’idea che chiunque,
venendo in possesso di determinate formule fisiche, possa padroneggiare
l’energia nucleare (per fare un esempio) ci piace, perché lusinga il
nostro desiderio di potenza a buon mercato, secondo la vecchia formula
cara a tutti gli studenti pigri e furbastri: «massimo risultato con il
minimo sforzo»; mentre, in effetti, dovrebbe atterrirci, perché le sue
implicazioni sono devastanti.
Viceversa,
il fatto che la Tradizione si sforzi di velare il proprio sapere,
partendo dall’assunto che se un essere umano lo desidera con animo
sincero e con pure intenzioni, finirà per trovare il Maestro che lo
giudichi all’altezza di riceverla, suscita una istintiva diffidenza e
una malcelata insofferenza da parte di molti, perché tutto ciò sa di
«aristocratico». (Per inciso, è ben questa la ragione per cui,
erroneamente, in certi ambienti politicizzati si parla della Tradizione
come di un sapere «di destra», scomodando persino Platone,
mentre la cultura democratica è considerata «di sinistra» o, comunque,
progressista: mentre termini come «destra» e «sinistra» sono
semplicemente assurdi, se riferiti al sapere iniziatico).
Stando
così le cose, si potrebbe dedurne che optare per la Tradizione oppure
per il moderno sapere scientifico sia, tutto sommato, una questione di
gusti personali, e che si possa scegliere l’una o l’altro con la stessa
disinvoltura con cui, al supermercato, ci si decide per l’acquisto di
una determinata marca di dentifricio o di pantofole, oppure per
un’altra.
Ma
è proprio vero? Non sarebbe, invece, il caso di domandarsi se non
esistano degli indizi che possano suffragare la pretesa della Tradizione
di porsi come il sapere originario dell’uomo, proveniente da livelli a
lui superiori; e se, in particolare, non esistano elementi a sostegno
della tesi centrale di ogni sapere iniziatico: che lo stadio attuale
dell’umanità corrisponde non a un progresso, ma a un regresso sempre più
marcato e carico di conseguenze distruttive?
Vediamo.
Vi
è un ampio settore del conoscere che la scienza moderna, quantitativa e
materialista, guarda con sommo disdegno, o che pretende di esaminare a
partire dal proprio pregiudizio razionalista: quello dei fenomeni
supernaturali.
Ancora
oggi, lo studioso accademico che vi si dedichi apertamente (anche se
molti, al soldo di potenti istituzioni statali e militari, lo fanno a
tempo pieno, ma in segreto) rischia di attirare su di sé il discredito
dei colleghi e del pubblico, nonché di vedersi stroncata la carriera.
Obbligatorio, poi, parlare di tali fenomeni, alla stampa o in
televisione, con l’atteggiamento distratto e di boriosa sufficienza,
proprio di chi non si lascia abbindolare da alcun genere di trucco e
dalle vecchie superstizioni, retaggio di un’epoca arretrata, in cui gli
esseri umani credevano ancora all’esistenza di forze invisibili.
Notiamo,
tra parentesi, che questo atteggiamento, oltre ad essere
intrinsecamente antiscientifico (nel senso di una scienza bene intesa),
perché rifiuta di misurarsi con i fatti, è anche totalmente incongruo,
perché la stessa scienza contemporanea, specialmente la fisica delle
particelle sub-atomiche, ha oltrepassato da un pezzo le rozze premesse
materialistiche del passato, ed è più che disposta a prendere in
considerazione, sia pure come ipotesi di lavoro, l’esistenza di forze
non solo invisibili, ma anche immateriali, capaci di agire sulla materia
stessa:
Telepatia,
chiaroveggenza, retrocognizione, psicocinesi, apporto ed asporto, solo
per citare alcuni fenomeni supernormali, in effetti costituiscono, per
il ricercatore libero da pregiudizi materialisti e da grossolane forme
di presunzione, altrettante finestre che permettono di gettare uno
sguardo su una realtà «altra», ove le pretese leggi della scienza
galileiana e newtoniana sono sospese e annullate e che, pertanto, esige
di essere interpretata alla luce di un nuovo modo di pensare e di una
nuova e più ampia concezione della realtà.
La
scienza materialista ci dice che, per vedere, occorre la facoltà della
vista, la quale si serve degli occhi: niente occhi, niente, vista,
niente percezione di oggetti. Ma ecco qui una ragazza che, distesa su un
letto con lo stomaco scoperto, e con un libro posato su di esso, legge
le parole, le frasi e le pagine, come se le avesse davanti agli occhi.
Ancora.
La
scienza materialista ci dice che un essere umano non può sopravvivere
più di qualche giorno senza bere e più di qualche settimana, al massimo,
senza assumere cibo solido. Ma ecco qui una donna che, a partire dalla
sua giovinezza, non ha più mangiato né bevuto niente di niente, se si
esclude la particola della comunione; eppure è vissuta molti anni,
durante i quali, pur paralizzata e costretta a stare in ambienti non
illuminati, era in grado di ascoltare, consolare e consigliare migliaia e
migliaia di visitatori.
Non basta.
La
scienza materialista ci assicura che lo spirito non può agire
direttamente sulla materia, ma solo indirettamente. Eppure, ecco uno
stregone che lancia un incantesimo di morte contro una persona ignara di
ciò (e, quindi, non suscettibile di autosuggestione); ed ecco che la
vittima designata si ammala e muore rapidamente, senza che nulla, nello
stato di salute del suo organismo, sembri giustificare un fatto del
genere.
Dobbiamo continuare?
Quelli
che abbiamo citato sono fatti, fatti attestati da testimoni degni di
fede; fatti, talvolta, osservati da molte persone, medici compresi;
fatti che, in certi casi, sono stati perfino riprodotti e osservati in
laboratorio, vale a dire in condizioni rigorosamente controllate dagli
scienziati.
Ebbene,
ci sembra che fatti del genere - di cui esiste, per chi ha voglia
vedere, una ricchissima e inoppugnabile documentazione -, possano, se
non altro, suggerire una ipotesi: che la mente sia capace di agire
indipendentemente dal corpo; che il cervello ne sia la sede temporanea,
ma che non sia tutt’uno con essa; che la mente individuale sia in
comunicazione con tutte le altre menti, passate, presenti e future; che,
in un tempo passato, tutti gli esseri umani fossero in grado di
accedere ai suoi straordinari poteri; che gli uomini abbiano
incominciato a perdere tale facoltà proprio a partire dall’epoca in cui
essi restrinsero la mente a quella piccola porzione di essa che
corrisponde al Logos strumentale e calcolante, alla Ragione dei moderni.
Questa,
ci sembra, dovrebbe costituire per lo meno una seria ipotesi di lavoro
per lo studioso in buona fede, non ottenebrato da pregiudizi e disposto a
misurarsi, da vero scienziato, con l’ombra del mistero, e non soltanto
con una sua caricatura di comodo.
Tale
punto di vista è stato ben sintetizzato da un eminente studioso
dell'occulto, Leo Talamonti, in un suo libro di quasi trentacinque anni
fa, e dal quale riportiamo il seguente passaggio («La mente senza
frontiere», Milano, Sugarco, 1975, pp. 131-32):
«Si
è già detto che a proposito di telepatia e fenomeni affini vi è chi
parla di "regressione atavica", presupponendo implicitamente che la
razza umana sia progredita, e che nel progredire abbia lasciato cadere
funzioni e capacità che più non le occorrevano. Un primo aspetto errato
di tale concetto è stato già da noi indicato quando abbiamo sostenuto
che la telepatia non è un fenomeno a sé stante; essa fa parte di un
complesso di facoltà e doti che sono e saranno sempre utili alla razza
umana perché si evolveranno con essa specializzandosi a seconda delle
sue future occorrenze; è vero dunque esattamente il contrario di quanto
si afferma da parte di certi studiosi tuttora legati a un pensiero
ottocentesco di stampo grossolanamente darwiniano.
Ora
non resta che completare il quadro e specificare per quali ragioni il
presunto progresso della razza sia stato in realtà un regresso. A nostro
avviso, le facoltà telepatiche e affini che tuttora si manifestano in
seno all'umanità non sono che il residuo DI PROFONDE CORRENTI DI FORZA
PSICHICA COESIVA che in una situazione primordiale, ben più felice di
quella attuale, bastava a mantenere armonici legami fra gli uomini, fra
questi e le forze cosmiche. Forse la telepatia - che abbiamo visto
manifestarsi sporadicamente nel suo ruolo di GRAVITAZIONE PSICHICA
INTER-INDIVIDUALE - era allora una forza operante ed universale che
cementava gli uomini fra loro. Si provi a immaginare il ruolo della
messa in comune di sentimenti e pensieri in una collettività, come
rarissimamente avviene anche oggi, ma in forma assai tenue: nessuno può
far soffrire deliberatamente un altro, se avverte le sofferenze di
quello come proprie; nessuno è poco intelligente, quando ha a propria
disposizione le risorse intellettive dell'intero gruppo. È il segreto di
una società perfettamente integrata. Per l'uomo di oggi è una utopia
assurda; per quello di una volta, forse, fu qualcosa di più di una bella
fantasia.
Tutte
le grandi tradizioni parlano di una MISTERIOSA CADUTA: di un'età del
ferro che succedete a quella mitica dell'oro; di un peccato d'origine
che valse a scatenare gli appetiti e gli sfoghi di un EGO separatista,
aggressivo, sopraffattore.
Allora
i finalismi tipici del ristretto campo di coscienza che fa capo
all'individuo come tale prevalsero su quelli ben più fondamentali, e ad
ampio respiro, della specie, i quali prima si esprimevano nelle tendenze
unificanti della psiche profonda; di qui la crescente disarmonia; di
qui il conflitto sempre più aspro fra uomo e uomo, fra l'uomo e
l'ambiente che lo ospita. Trionfo della "ragione" - di una ragione
ristretta e priva di luce interiore - e contemporanea perdita
dell'anima. Da allora l'uomo fu condannato a essere solo, sempre più
solo, con qualche rimedio parziale e non sempre operante a sua
disposizione. Ma in profondità i legami sussistono, ed infatti qualche
volta, in soggetti rari, emergono a piena luce, come dimostrano i molti
episodi che siamo andati esaminando; nella maggior parte dei casi essi
sono invece soffocati dalla voce imperiosa dell'EGO. Permane ancora la
nostalgia di un'integrazione che affranchi dal peso della solitudine, ma
quando la spinta integrativa erompe, travolgendo le innaturali barriere
dell'io, non di rado si manifesta nel senso sbagliato: come avviene
nelle folle scatenate, quando molti psichismi individuali si associano
di colpo sotto l'ondata di una emozione comune, formando una entità
collettiva che risucchia le single anime per fonderle in una sola, che
impone all'intero gruppo la propria volontà…»
La
teoria esposta da Talamonti, semplice ed elegante al tempo stesso, è in
grado di rendere ragione di una quantità di fenomeni supernormali
altrimenti inesplicabili: ad esempio, come due persone legate da forti
vincoli d'affetto possano comunicare a distanza, senza servirsi di alcun
mezzo materiale, e perfino di far sapere all'altra la morte di una di
esse.
Non
si dice, del resto, che gli aborigeni australiani - che sono
considerati, non a caso, il popolo più antico del mondo, essendo
stanziato in quel continente da almeno 40.000 anni - fossero in grado di
comunicare fra loro telepaticamente, a distanze notevolissime, per
esempio convergendo ai raduni tribali dai luoghi più remoti, oppure
recandosi ai funerali di un parente deceduto durante l'assenza di alcuni
elementi del gruppo?
Inoltre,
questa teoria è in grado di riportare la mente individuale in un
rapporto funzionale e armonioso con tutte le altre menti, e non solo
quelle umane (si pensi al particolarissimo rapporto che doveva
stabilirsi fra la psiche di un antico cacciatore e quella della sua
preda), inserendo il concetto junghiano dell'inconscio collettivo in una
prospettiva molto più ampia e profonda, sia dal punto di vista
strettamente antropologico, sia da un punto di vista filosofico
generale.
La
Caduta, pertanto, ha segnato un cammino inverso rispetto al trionfo del
Logos strumentale e calcolante: quello della perdita della parte più
profonda dell'uomo e, al tempo stesso, della perdita dei vincoli
ancestrali che legavano tutti gli uomini fra loro e con l'ambiente in
cui vivevano, animali e piante compresi.
L'inconscio
individuale, su cui Freud ha basato tutta la sua pessimistica
concezione dell'uomo, altro non è che la marcescenza dell'ego, dopo che
il prevaricare della Ragione ne ha schiantato i profondi legami con le
altre menti e con tutti gli altri viventi. Ma l'ego, a sua volta, non è
che la parte tirannica e aggressiva dell'io: divenuta tanto più
tirannica e tanto più aggressiva, quanto più si sono allentati e
dissolti i legami psichici profondi dell'uomo con i propri simili e
dell'uomo con il resto del creato.
Una
reintegrazione dell'uomo nella sua piena umanità, pertanto, non potrà
aver luogo che quando egli si renderà conto di aver sacrificato, in nome
di forze tiranniche che non lo fanno vivere in armonia con se stesso e
con il mondo, la parte migliore di se stesso: la più profonda, la più
antica e la più vera.
SILENT
OBSERVER:
No comments:
Post a Comment